Marketing & Vendite
Le ipotesi sul comportamento umano formulate dall’economia classica non sono fondate sull’osservazione empirica o sulle ricerche delle scienze sociali o delle neuroscienze. Al contrario sono state sviluppate partendo da una teoria su come le persone dovrebbero prendere le loro decisioni economiche e da quella sono state estrapolate.
Il problema è che quegli assunti si sono rivelati nel tempo in gran parte errati. Le persone non prendono le loro decisioni avvalendosi di un’informazione perfetta, non fanno comparazioni di valore fra categorie di natura diversa, non sono insensibili al comportamento degli altri o al loro comportamento passato così come la loro percezione del valore e le loro preferenze non sono neutre rispetto al contesto. Una volta che si prende atto di queste verità l’intero edificio costruito dal pensiero economico viene messo in crisi.
Considerazioni simili possono essere fatte per la scuola di pensiero che guida la maggior parte delle decisioni di marketing e commerciali. Il marketing raramente si affida alla scienza in ogni caso ma anche quando lo fa di certo non fa affidamento su scienze empiriche. Come gli economisti sviluppa un’ipotesi su come le persone dovrebbero essere influenzate in determinate situazioni e poi deriva una serie di regole dedotte da quell’assunto. Si affida poi ad un presupposto assai pericoloso, quello che le persone conoscono e possono accuratamente descrivere i meccanismi mentali che sottostanno alle loro decisioni e alle loro azioni.
L’economia comportamentale ha messo insieme un cospicuo corpo di evidenze scientifiche che mostrano che le persone non prendono decisioni nel modo in cui gli uomini di marketing comunemente e semplicisticamente assumono. E se gli economisti sono spesso ciechi di fronte a un’ampia serie di emozioni e tendenze umane (come il rimpianto, l’avversione alle perdite o l’effetto dotazione) anche loro sembrano non vedere tutta una serie di influenze inconsce come quelle esercitate dal contesto o dal framing.
Le conoscenze sviluppate da questa disciplina sono di inestimabile valore per chi deve pianificare strategie e azioni di mercato così come a chi lavora in agenzie pubblicitarie o digitali, nelle ricerche o nei media. Chiunque abbia la necessità di comprendere le persone, le loro percezioni e le loro motivazioni.
Nel suo intimo chiunque abbia avuto successo nel marketing e nelle vendite ha sempre saputo istintivamente che la scienza economica ha un punto cieco nel comprendere i comportamenti individuali e collettivi. Ma senza un vocabolario adatto e un corpo omogeneo di conoscenze risultava difficile sostenerlo. Ora quel vocabolario e quei riscontri ci sono e “pianificare una campagna” può diventare “disegnare un’architettura delle scelte per i nostri clienti”.
Le aziende accumulano enormi quantità di informazioni su clienti e consumatori, e compiono analisi sofisticate con cui sviluppano modelli per indirizzare l’innovazione e definire gli investimenti in sviluppo dei prodotti e in comunicazione. Ma il motivo per cui gli esseri umani fanno quello che fanno rimane un mistero. Non si potrebbe spiegare altrimenti un tasso di fallimento del nuovi prodotti che arriva a sfiorare il 90%.
Alcune campagne funzionano, altre no, e basandosi sulla propria esperienza personale ognuno costruisce i propri modelli mentali su come i consumatori decidono. Ognuno sa che quel modello è tutt’altro che perfetto ma nessuno ha di meglio da offrire e ognuno si tiene il suo. Questo porta inevitabilmente, in ogni azienda, a grandi discussioni che si concretizzano in decisioni basate su preferenze personali e spesso dettare dalla gerarchia.
Ciò è sintomatico di un problema più generale. Un recente studio su 1200 CEO nel mondo riporta che l’80% ritiene che i propri responsabili marketing siano disconnessi dai risultati commerciali dell’azienda e che si focalizzino su questioni sbagliate perdendo di vista la vera essenza del loro lavoro ovvero quella di aumentare in maniera quantitativamente significativa la domanda per i beni e i servizi dell’azienda.
I commerciali, siano essi marketing o vendite, sono i depositari delle chiavi per le entrate di un’azienda ossia la comprensione dei clienti e dei consumatori e la sua traduzione in campagne e proposte efficaci. Le marche, ad esempio, hanno qualità intangibili che vanno al di la delle pure funzionalità del prodotto ma è sempre difficile dargli una spiegazione e renderle tangibili. Non ci si deve quindi poi stupire se i CEO si fidano di più dei loro direttori finanziari. Per guadagnare quella fiducia bisogna rendere la brand equity tangibile e comprensibile, e riuscire a spiegare meglio perché non è assolutamente irrilevante e superficiale. Anche perché è lei quella che permette di reclamare un premium price su proprio prodotto.
Ogni volta che la scienza entra in un settore aggiunge del valore ma, ironicamente, il modello mentale che ancora oggi si utilizza nel marketing è basato su un pensiero sviluppato negli anni ’70 quando la scienza delle decisioni ha avuto degli sviluppi importanti. È ora di aggiornare il modo in cui pensiamo che i consumatori decidano. L’evoluzione negli ultimi anni è stata in qualche modo delegata ai ricercatori di mercato ma non sono più dati ciò di cui c’è bisogno. Fino a quando si porranno le stesse domande e non verranno aggiornati i modelli mentali sui processi decisionali non si potranno sfruttare le potenti idee che la scienza offre.
Oggi le neuroscienze, l’economia comportamentale e la psicologia sociale e cognitiva ci offrono spiegazioni sul comportamento delle persone, consumatori e clienti dandoci anche un nuovo vocabolario per comprendere perché i consumatori fanno quello che fanno ma all’interno di un quadro teorico che ci permette di sviluppare efficaci strategie di marca e di posizionamento, innovazione e comunicazione.
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